Pubblicato in: Bel Paese di merda, La rete evanescente, La storia si ripete

Amministrative 2017 (Don Camillo e Peppone 2017)…

Devo assolutamente riproporvi qusto geniale pezzo che Andrea Sartori ha proposto su faccialibro. Lo ricopio qui sospettando che prima o poi la censura faccia-librica cali pesante soffocando la voce di Andrea.

AMMINISTRATIVE
(Don Camillo e Peppone 2017)

Anche sul piccolo paese in riva al fiume si erano tenute le amministrative. Aveva vinto, dopo tanti anni, il vecchio Giuseppe Bottazzi detto Peppone, che era stato sindaco negli anni gloriosi del PCI. Aveva battuto suo figlio, Lenin Camillo Libero, che aveva deciso di calcare le orme paterne.

La grande sorpresa fu nelle liste in appoggio ai due candidati: Lenin Camillo Libero aveva scelto di farsi appoggiare da una lista vicina all’ala renziana del Partito Democratico, mentre il vecchio Peppone aveva formato una lista civica appoggiata però dalla Lega Nord. In suo aiuto era addirittura venuto il suo vecchio nemico, monsignor Camillo Tarocci, ritiratosi nuovamente in paese dopo essere stato “pensionato” da Papa Francesco. Ma come mai Peppone era passato dal fazzoletto rosso al fazzoletto verde?

Dopo la svolta della Bolognina Peppone si era avvicinato a Rifondazione Comunista. Ma i tempi erano cambiati, al paese mieteva successi il berlusconiano Spiletti, nipote dello storico medico del paese, alternato al leghista Filotti. Peppone era considerato solo un “vecchio comunista”. Dopo il 2008, con il tradimento di Bertinotti verso il governo di centrosinistra, Peppone lasciò la politica. Non capiva tutto quel concentrarsi su matrimoni gay e droghe leggere quando c’era un’emergenza sociale, specie al paese. Quando Renzi entrò in politica la delusione fu cocente. Quando suo figlio Lenin annunciò di voler far politica col PD ancora peggio. Aveva combattuto Berlusconi, per poi ritrovarsi due piccoli Berlusconi, uno a casa e uno nel suo vecchio partito. Allora decise di ritornare in politica. Nel M5S, nonostante la sua leggendaria onestà, non lo vollero: troppo vecchio e troppo legato ai vecchi partiti. Si ritrovò nella Lega salviniana, a combattere più che il neocapitalismo eurocratico (di cui non capiva molto), l “invasione degli immigrati” che portava via lavoro alla sua gente. Su questo punto lo scontro con il nuovo parroco don Chichì, favorevole, in nome della carità cristiana, all’accoglienza verso i profughi. In aiuto di Peppone arriva l’insperato assist di monsignor Camillo Tarocci. Monsignor Tarocci era sempre rimasto nel cuore del paese e tutti lo chiamavano ancora, nonostante la porpora, semplicemente don Camillo. Aveva subito molti richiami negli anni Sessanta e Settanta per il suo tradizionalismo anticonciliare. Aveva anche pensato di aderire al movimento di Lefebvre, se nel 1978 non fosse stato eletto papa il polacco Karol Wojtyla. Grazie all’anticomunismo che lo univa al Papa fece carriera, entrò in Curia a Roma. Dopo il crollo dell’Urss, però, cominciò a contrastare il dialogo islamo-cristiano, finché papa Francesco, che considerava don Camillo un ferrovecchio tradizionalista e un islamofobo, lo rimandò al paese.

“Gesù – disse don Camillo al Crocifisso – grazie per aver fatto vincere Peppone”

“Don Camillo, tu hai voluto che Peppone vincesse solo perché ora ce l’ha con gli immigrati”

“Gesù – rispose don Camillo – Voi non capite. Questi sono peggio dei rossi. Avete visto cosa fanno in Siria? Ammazzano cristiani”

“Don Camillo, molti scappano dalla guerra, invece. E poi per me tutti gli uomini sono uguali, anche se non Mi conoscono”

“Gesù, ma questi faranno sparire il Cristianesimo”

“Non hai più fede, mio povero don Camillo? Molti Mi stanno conoscendo ora. Tanti si sono invece convertiti a Me in questi anni. È la vecchia Europa che Mi sta abbandonando. Non lo vedi quando celebri messa? I giovani sono tutti africani, filippini, indiani e anche tanti arabi convertiti. Di italiani solo qualche vecchietta”

“Sì Gesù. Anche i nuovi preti che ho formato sono perlopiù neri. Ma io sono anche italiano, e mi dispiace vedere morire così il mio Paese”.

Improvvisamente sentì dei passi. Era Peppone, che era entrato in chiesa.

“Don Camillo – esordì Peppone – la ringrazio per l’aiuto”.

“Di nulla Peppone” rispose velocemente don Camillo.

“Non me l’aspettavo, dopo questi anni…”

“Peppone, non potevo certo appoggiare questa invasione di islamici che mi vorrebbero sgozzare”

“Anch’io – disse Peppone – non posso appoggiare una sinistra diventata capitalista. Il mio partito ha dimenticato il lavoro e pensa a cose come il matrimonio tra uomini. Allora mi sono rivolto a chi ancora parla di lavoro. E poi, sono umano, i miei paesani vengono prima di tutto il mondo. Profughi compresi. E io ho tenuto testa a voi nel Dopoguerra, non posso tollerare che un pretino con la sciarpa arcobaleno mi imponga addirittura l’imam. A me. Di preti mi bastano quelli del Vaticano, non voglio pure quelli della Mecca”.

“Certo Peppone. E ti prometto che il nostro segreto, resterà un segreto”

“Quale segreto?”

“Quella famiglia di profughi siriani che abbiamo aiutato a trovare casa e lavoro”

Peppone sbuffò. Avrebbe voluto dire che don Camillo era sempre la solita canaglia d’un prete, poi però rise. “Certo. E mio figlio Lenin si è fatto tanta campagna elettorale sull’accoglienza, ma li tiene a debita distanza. Lui frequenta solo i suoi amici renziani nei posti più esclusivi. Piccolo berlusconiano. Voleva rottamarmi, come dice quel bischero del suo ducetto. Non è ancora nato chi rottamerà Peppone”

“Anche don Chichì, che parla tanto di accoglienza e mi tratta come un pezzo da Santa Inquisizione, li accoglie solo a parole. Ma così anche il nuovo Papa, francescano più di nome che di fatto. Era meglio il tedesco, molto meglio”.

“Siamo vecchi, don Camillo. Le nuove leve ci vogliono levare di mezzo”

“Sì Peppone. Ma siamo come il vino. Invecchiando migliora. Non hanno trovato nessuno meglio di noi. E la gente vuole noi, non queste sciocchezze ideologiche così lontane da loro”.
E intanto fuori il fiume scorreva placido e lento come diecimila anni fa.

Autore:

La Dea Tutte mi ha inviato a combattere il demone dell'evanescenza, fin dalla pianura che non deve essere nominata

7 pensieri riguardo “Amministrative 2017 (Don Camillo e Peppone 2017)…

  1. “Sul” paese si tengono le elezioni? “Al” paese mieteva successi? E un simile analfabera si permette di profanare un grande autore come Guareschi?! Se poi aggiungiamo che Peppone oggi è più o meno fra i 100 e i 105 anni…
    Al secondo capoverso mi sono dovuta fermare, perché la mia ulcera si è violentemente ribellata. Davvero un autentico abominio, neanche un bambino diterza elementare riesce a scrivere peggio.

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    1. Ci sono molti passaggi di Guereschi che suonano così. Per tua sfortuna grep scorre potente nelle mie vene:

      «Che mi pestiate i calli al paese, passi» disse Peppone «ma che veniate a pestarmeli anche a Milano è troppo!»
      «Che tu mi sia sempre tra i piedi al paese, passi» replicò calmo don Camillo «ma che tu venga a impicciarmi la strada anche a Milano è troppo!»


      Il Tofini vecchio era un uomo nato per la polemica; dopo lunga meditazione scaraventò una zampata sulla tavola e disse: «Dunque: al paese vogliono lo scandalo? Vogliono di-
      vertirsi alle nostre spalle? Vogliono addolcire l’animaccia loro con l’amaro nostro? Benissimo: li serviamo noi….

      Intanto, giù al paese in riva al fiume grande, non succedeva niente di grosso, però succedevano tante piccole cose strampalate che avrebbero fatto dispiacere anche a don Camillo, se mai le avesse sapute.

      A venticinque anni Giosuè Bigatti non sopportò più il fatto che al paese tutti lo chiamassero Pitaciò e andò a lavorare in città.

      E mi fermo. Quanto all’età, stiamo parlando di personaggi immaginari. Il Mondo Piccolo è di fatto una favola moderna. E tu, un minimo, ma solo un minimo, di sospensione dell’incredulità potresti applicarla. Tanto più che è Guareschi stesso a scrivere:

      Quando rileggo questa pagina del notaio Francesco Luigi Campari, mi sembra di diventare un personaggio dellafavola che egli racconta, perché io son nato nella villa «aprica e sparta».
      Il piccolo mondo del Mondo piccolo non è qui però: non è in nessun posto fisso: il paese di Mondo piccolo è un puntino nero che si muove, assieme ai suoi Pepponi e ai suoi
      Smilzi, in su e in giù lungo il fiume per quella fettaccia di terra che sta tra il Po e l’Appennino: ma il clima è questo. Il paesaggio è questo: e, in un paese come questo, basta fermarsi sulla strada a guardare una casa colonica affogata in mezzo al granturco e alla canapa, e subito nasce una storia

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      1. Non ci posso credere. Dimmi che ho le traveggole. Dimmi che non è vero che “pestare i calli al paese” per te è uguale a “al paese mieteva successi”. E se è vero che per te sono uguali, dimmi che non è vero che ti hanno promosso alla licenza elementare. Non ci posso credere, E’ davvero superiore alle mie forze. Non ce la faccio.

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